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LE PAROLE DEGLI ALTRI / Autonomia differenziata? No a nuovi poteri alle Regioni

Le opinioni di Sales, Cipolletta e Villone Era prevedibile che tornasse a galla. Che risorgesse dalle sue ceneri come l’Araba Fenice. Chi? Cosa? Parliamo del riconoscimento di maggiori forme di “autogoverno” alle Regioni a statuto ordinario, cioè la concessione di un’autonomia differenziata tra Regione e Regione. “Ad oggi è l’argomento più divisivo in Italia” secondo Isaia Sales, che sul tema ha scritto un ampio articolo uscito il 18 novembre del 202 su Repubblica. Riapparso sulla scena politica dopo che negli anni precedenti sono andati a vuoto diversi tentativi attuativi. Divisivo almeno quanto il Reddito di cittadinanza, causa di laceranti polemiche da alcuni anni, in quanto cavallo di battaglia della Lega che, non a caso, ha provato a rilanciarlo con Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le autonomie che è arrivato addirittura a presentare la sua proposta nella conferenza Stato-Regioni senza neanche passare per un’approvazione nel Consiglio dei ministri. Perché tanta fretta? “La Lega, dopo le varie fasi di sua altalenante caratterizzazione negli anni – spiega Sales -, quella separatista, quella federalista e quella nazionalista, sta passando alla strategia del “regionalismo sovranista”, nella quale alcune regioni dovrebbero avere più sovranità, più poteri, più risorse e più servizi rispetto ad altre, realizzando nei fatti un regionalismo di serie A e uno di serie B”. Argomento divisivo perché “le Regioni che spingono per maggiori poteri e risorse sono tutte del Nord e quelle che si oppongono apertamente sono del Sud”. Sales, Innocenzo Cipolletta, Massimo Villone. Uno studioso di mafia (ed ex politico), un economista ex direttore di Confindustria e un politico e costituzionalista. Tutti e tre critici verso una scelta che trasforma le Regioni in venti “succursali” dello Stato, che su tante materie avrebbero potere analogo se non superiore. E difatti l’autonomia differenziata altro non è che l’attribuzione in via esclusiva alle Regioni a statuto ordinario, di una potestà legislativa per le materie di “legislazione concorrente” e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato: giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. “Il paradosso di questa improvvida iniziativa legislativa – spiega Sales – è che viene dopo la magra figura che le Regioni (tutte, chi più chi meno) hanno fatto nel corso degli ultimi anni… Al posto di una seria riflessione su questi limiti, si pensa di concedere ad alcune di esse addirittura maggiori prerogative… Adesso alle competenze sanitarie si pensa di aggiungere quelle per la scuola, per il turismo, per i beni culturali etc”. Giudizio non meno tranciante quello di Cipolletta, che interviene sul Domani del 9 gennaio con un articolo dal titolo inequivocabile: “L’imbroglio dell’autonomia – Troppi poteri a regioni già inutili”. “Già oggi (le Regioni) sono del tutto inadeguate per i compiti assegnati e sarebbe un vero disastro se ne avessero degli altri..:”. E poi accresce la dose: “Se le regioni avessero altre competenze, i guasti per i cittadini…”. Ed ancora: “Le Regioni per la loro natura sono strutture inadeguate e poco efficienti… non possono assolvere alla funzione di centri di autonomia decisionale e di distribuzione dei servizi”. Anche Villone rimarca l’inadeguatezza delle Regioni e il pericolo di trasformarle in “repubblichette” (vedere Repubblica Napoli del 6 giugno 2022). Mentre in un articolo successivo, sulle stesse colonne (26 ottobre) suggerisce di mettere in standby la partita dell’autonomia differenziata fino a quando non si ottengano in un dibattito di aula chiare a tre questioni pregiudiziali:

  1. Una parola definitiva sui costi e la effettiva convenienza dell’autonomia differenziata, che escluda la possibilità di una moltiplicazione – inevitabilmente costosa – di apparati burocratici.
  2. Una parola definitiva sui costi standard e il superamento della spesa storica, e sulla disponibilità di risorse per rendere tale operazione possibile.
  3. Una parola definitiva sul concetto di livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Vale a dire: livelli uguali per tutti, al di sopra dei quali non vi è carico sulla fiscalità generale, o invece come livelli di eguaglianza relativa, con carico maggiore sulla fiscalità generale per chi ha di più?
  4. Ci sono materie non regionalizzabili – ad esempio la scuola o le infrastrutture strategiche – ai sensi dell’art. 116.3?
  5. Sarà assicurato il pieno coinvolgimento delle assemblee elettive anche nel merito delle intese?
  6. Come si rapporta il rilancio del Sud all’attuazione del Pnrr? Che l’autonomia in salsa leghista sia o meno accettabile dipende in larga misura dalle risposte.
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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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