
Il fenomeno del drenaggio è una mazzata per i redditi medi, ma nello stesso tempo alimenta le casse dello Stato: tra 2021 e 2023 il suo valore ha toccato addirittura i 25 miliardi
Sapete chi sono, in Italia, i tartassati per eccellenza? Ve lo diciamo subito: operai e impiegati. Già, perché sono loro a pagare più tasse rispetto ad altri contribuenti e a vedersi progressivamente eroso il potere d’acquisto degli stipendi. Il tutto grazie al fenomeno del cosiddetto fiscal drag, o drenaggio fiscale, che mette in ginocchio i lavoratori dipendenti ma, nello stesso tempo, fa affluire fiumi di denaro nelle casse dello Stato.
Ma che cos’è esattamente il fiscal drag? In Italia le imposte sul reddito sono strutturate in base a scaglioni progressivi che, tuttavia, non vengono adeguati automaticamente all’inflazione. Di conseguenza, se il reddito di un lavoratore resta uguale e nel frattempo i prezzi aumentano, il Fisco continua a prelevare la stessa quota di quel reddito e di fatto ne riduce il potere d’acquisto. Insomma, per i lavoratori è il danno che si aggiunge alla beffa. E questo vale soprattutto per operai e impiegati per i quali il drenaggio fiscale vale rispettivamente il 5 e oltre il 2% della quota di Irpef dovuta.
Se per i redditi medi il fiscal drag è una mazzata, per lo Stato è manna dal cielo. Tra 2021 e 2023, infatti, l’erario ha incassato qualcosa come 25 miliardi attraverso il drenaggio fiscale. Per il 2025, inoltre, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha previsto un gettito totale di circa 3,26 miliardi di euro, con un incremento di 370 milioni rispetto antecedente alla riforma varata dal governo Meloni. Già, la riforma: anche quest’ultima promette di assestare l’ennesima batosta ai redditi medi. L’accorpamento del primi due scaglioni, infatti, riduce leggermente la progressività sui redditi più bassi, mentre le nuove detrazioni decrescenti aumentano il prelievo marginale sui redditi medi, accentuando ulteriormente il drenaggio fiscale in caso di inflazione.
In tutto questo lo Stato italiano che fa? Niente, ovviamente. In Belgio, Lussemburgo e Austria sono stati introdotti meccanismi automatici di indicizzazione che neutralizzano gli effetti distorsivi del drenaggio fiscale e, secondo l’Unione europea, contribuiscono a ridurre le disuguaglianze tra òe diverse fasce della popolazione. Francia e Germania, invece, hanno optato per adeguamenti discrezionali che comunque sono utili a limitare l’impatto del fiscal drag. L’Italia, invece, è inerte. Facile intuire il perché: il drenaggio fiscale dà ossigeno alle casse dello Stato dando la sensazione che i conti pubblici siano in costante miglioramento. Con buona pace delle famiglie che, oltre a pagare migliaia di euro l’anno in tasse, vedono diminuire il potere d’acquisto dei propri redditi.