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Separazione delle carriere tra giudici e pm: la riforma che divide politica e magistratura

Con 243 voti favorevoli e 109 contrari, la Camera ha approvato in terza lettura la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati. Il testo, già passato due volte in entrambe le Camere, torna ora al Senato per il via libera definitivo. Ma non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi, sarà sottoposto a referendum confermativo nel 2026.

Per la maggioranza di governo si tratta di una svolta “storica”, attesa da decenni e capace di garantire un giudice finalmente terzo, libero da ogni ombra di vicinanza con l’accusa. Per l’opposizione e per gran parte della magistratura, invece, è un attacco frontale all’indipendenza dei pubblici ministeri e un cambiamento che non risolverà i problemi concreti della giustizia.

Cosa cambia con la riforma

Il cuore del provvedimento è la separazione netta dei percorsi di carriera: al momento del concorso, un giovane magistrato dovrà scegliere se diventare giudice o pubblico ministero. Non sarà più possibile, come oggi, passare da una funzione all’altra, seppur in misura già ridotta.

Accanto a questa novità, altre modifiche di rilievo:

  • Due CSM distinti: l’attuale Consiglio Superiore della Magistratura sarà sdoppiato in due organi, uno per i giudici e uno per i pm, entrambi presieduti dal Capo dello Stato.
  • Sorteggio al posto delle elezioni: i membri togati e laici non saranno più eletti ma estratti a sorte da elenchi predisposti dal Parlamento o dalle stesse magistrature.
  • Un’Alta Corte disciplinare: giudicherà le violazioni dei magistrati, sostituendo l’attuale sezione disciplinare del CSM. Sarà composta in parte da togati estratti a sorte e in parte da giuristi esterni nominati dal Presidente della Repubblica o dal Parlamento.

Una legge ordinaria dovrà poi stabilire i dettagli operativi: criteri per il sorteggio, regole di funzionamento dei nuovi organi, procedimenti disciplinari.

Le ragioni dei favorevoli

Per la maggioranza e per gli avvocati penalisti, la riforma è il completamento del modello accusatorio introdotto nel 1989 e rafforzato con il “giusto processo” del 1999. In un sistema moderno, sostengono, chi giudica e chi accusa devono essere figure nettamente distinte.

«Oggi è come se l’arbitro frequentasse gli spogliatoi di una delle due squadre», ha detto Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere Penali, per spiegare il senso della separazione.

Altri punti messi in evidenza:

  • Un giudice davvero imparziale: non più collega del pm, ma terzo tra accusa e difesa.
  • Autonomia rafforzata per entrambe le funzioni: ciascuna avrà il proprio CSM, senza interferenze reciproche.
  • Fine delle degenerazioni correntizie: il sorteggio, sostengono i promotori, eliminerà le logiche di spartizione interna che hanno minato la credibilità del CSM dopo scandali come quello che coinvolse Luca Palamara.
  • Un passo verso la “civiltà giuridica”: per gli avvocati e per una parte della dottrina, l’Italia si allinea a molti Paesi europei dove giudici e pm hanno carriere separate.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, parla di “madre di tutte le riforme”, una misura di principio più che di efficienza: «Il giudice deve essere terzo, e finché condivide percorso e organi con il pm questo non è pienamente garantito».

Le critiche dei contrari

Per l’Associazione Nazionale Magistrati e per le opposizioni, invece, la riforma rischia di indebolire la funzione del pubblico ministero, trasformandolo in una parte più vulnerabile e meno indipendente.

Le critiche principali sono tre:

  • Un pm isolato e più esposto alla politica: togliendolo dall’alveo unitario della magistratura, temono i magistrati, il pubblico ministero potrebbe avvicinarsi troppo al potere esecutivo o alle forze di polizia.
  • Nessun effetto sui tempi della giustizia: “È una legge inutile, non velocizza i processi”, ha dichiarato Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale. La riforma non tocca organici, procedure o risorse, cioè i veri nodi della lentezza.
  • Rischio di squilibri costituzionali: due CSM e un’Alta Corte disciplinare mista potrebbero frantumare l’unità della giurisdizione e ridurre le garanzie di indipendenza interna. Il sorteggio, inoltre, viene giudicato arbitrario e incapace di garantire rappresentatività.

Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle parlano apertamente di “giustizia dei potenti”. Elly Schlein accusa la destra di voler “assoggettare i pm al controllo politico”, mentre Giuseppe Conte avverte che la riforma “apre un serio vulnus per l’indipendenza della magistratura”.

Uno scontro istituzionale

A rendere la partita ancora più tesa è il clima politico. L’iter parlamentare è stato accompagnato da proteste in Aula, sedute fiume e accuse di forzature. L’ANM ha già annunciato un comitato per il No in vista del referendum, mentre gli avvocati penalisti hanno risposto con un comitato per il Sì.

La magistratura è quasi compatta contro il testo: il CSM in carica ha espresso un parere durissimo, e nel maggio scorso i magistrati hanno anche proclamato uno sciopero.

Per il governo, invece, si tratta di un impegno politico e simbolico: Antonio Tajani ha dedicato l’approvazione a Silvio Berlusconi, che per anni aveva invocato la separazione delle carriere come bandiera politica.

Verso il referendum del 2026

La riforma non entrerà in vigore senza il voto dei cittadini. Nel 2026 il referendum confermativo dirà se la separazione delle carriere diventerà realtà.

Da un lato, la promessa di un giudice davvero terzo e di un sistema più trasparente; dall’altro, il timore di un pm più debole e di una giustizia meno indipendente.

Al di là degli schieramenti, la posta in gioco riguarda principi fondanti: l’equilibrio tra i poteri, le garanzie di imparzialità nei processi, la fiducia dei cittadini nella giustizia.

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Autore - Articoli pubblicati: 11

Studente di Giurisprudenza, con esperienza amministrativa e interesse per ambito legale, aziendale e risorse umane.

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