
Ancora una volta la FLC CGIL grida allo scandalo, bollando come “autoritaria” e “superata” la riforma dell’esame di Stato. Ma viene da chiedersi: davvero il problema è il rigore, o piuttosto il fatto che da troppi anni la scuola ha smesso di pretendere conoscenza reale, accontentandosi di nozionismo vuoto e di un’illusoria “partecipazione” fatta di slogan e di like sui social?
La verità è che questa riforma non è affatto un passo indietro. È l’esatto contrario: è il tentativo, finalmente, di riportare l’esame di Stato alla sua funzione originaria, quella di verificare ciò che uno studente sa e sa elaborare, non di premiare l’atteggiamento o l’attivismo di facciata.
Si parla con tono sprezzante della reintroduzione della parola “maturità”. Ma cos’altro dovrebbe rappresentare l’ultimo esame, se non proprio la maturazione di un percorso? Non si tratta di paternalismo, ma della constatazione che la scuola deve formare cittadini capaci di pensiero critico, e il pensiero critico nasce da basi solide, non dal consumo compulsivo di informazioni effimere.
Il sindacato denuncia la “stretta” sull’orale come se fosse una punizione. Ma forse il problema è che ormai ci si è abituati a prove annacquate, che non misurano nulla se non la capacità di sopravvivere a un colloquio di routine. Pretendere quattro discipline, pretendere connessioni reali, non significa reprimere: significa chiedere di dimostrare conoscenza viva, ragionata, capace di collegare.
Se davvero vogliamo ridare dignità alla scuola, non possiamo continuare a trasformarla in un parco giochi dove ogni critica è valida a prescindere e ogni protesta diventa un alibi per sottrarsi al rigore. L’esame non deve premiare la retorica del dissenso fine a se stesso, ma la fatica dello studio, l’impegno quotidiano, la capacità di argomentare con cognizione di causa.
La riforma non soffoca il pensiero critico: al contrario, lo salva da un presente in cui troppi ragazzi sono vittime passive del flusso nozionistico e superficiale dei social. È un invito a riaccendere le menti, a recuperare il senso profondo del sapere come strumento di libertà.
Chi la definisce “superata” confonde la modernità con la faciloneria. La vera modernità, oggi, è tornare a studiare sul serio.