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L’abuso dei gestori dei lidi balneari e il silenzio dello Stato

Se davvero la politica vuole tutelare famiglie e turisti, l’occasione è adesso

Ogni estate si ripete la stessa storia: famiglie e turisti che vogliono passare una giornata al mare si trovano di fronte a listini sempre più proibitivi. Ombrelloni e lettini arrivano a costare cifre spropositate, in alcuni casi più di 50 euro al giorno per due persone, senza contare i servizi aggiuntivi. In molte località italiane, andare al mare in uno stabilimento balneare è diventato un lusso per pochi.

Il paradosso sta nel fatto che i gestori dei lidi pagano concessioni demaniali bassissime allo Stato. In media, appena duemila euro l’anno per l’utilizzo di tratti di spiaggia che appartengono a tutti i cittadini. Un prezzo ridicolo se confrontato con i guadagni che queste attività generano nei mesi estivi. Basti pensare che, con tariffe così alte, un lido può incassare decine di migliaia di euro in poche settimane, spesso senza una reale proporzione tra costi sostenuti e entrate.

Questo squilibrio alimenta un’ingiustizia evidente: lo Stato incassa poco, i gestori fanno utili importanti e i cittadini pagano tariffe insostenibili per un bene che, in teoria, dovrebbe essere accessibile a tutti. Non si tratta di mettere in discussione il lavoro di chi investe e gestisce uno stabilimento, ma di chiedere un equilibrio. Oggi quell’equilibrio non c’è.

La domanda che molti si pongono è semplice: perché lo Stato non interviene? Lo strumento ci sarebbe. Se le concessioni vengono date a prezzi bassi, lo Stato potrebbe imporre dei vincoli sui prezzi applicati al pubblico. In altre parole, fissare un tetto massimo – prezzi calmierati – per garantire che un bene comune non diventi una fonte di speculazione.

Un modello simile esiste già in altri settori. Pensiamo ai farmaci essenziali, il cui costo è regolato, o alle tariffe dell’energia e del gas che, per anni, sono state soggette a controlli statali. Perché non applicare lo stesso principio ai lidi balneari? Non sarebbe una misura punitiva, ma un atto di giustizia sociale. Chi riceve una concessione a condizioni privilegiate deve accettare anche un vincolo nell’interesse collettivo.

Inoltre, il tema delle concessioni demaniali è da anni al centro di discussioni in sede europea. L’Unione Europea chiede più trasparenza e gare pubbliche, perché le spiagge non possono essere gestite all’infinito dagli stessi soggetti senza una reale concorrenza. In Italia, invece, si continua a rinviare ogni decisione, mentre i cittadini subiscono le conseguenze di questo immobilismo.

Imporre prezzi calmierati sarebbe un primo passo per restituire alle spiagge la loro funzione originaria: un bene comune, non un lusso. Non si tratta di togliere lavoro agli operatori, ma di ridare dignità e accessibilità a un diritto semplice: godersi il mare senza dover spendere cifre fuori portata.

Se davvero la politica vuole tutelare famiglie e turisti, l’occasione è adesso. Continuare a chiudere gli occhi significa accettare che le spiagge italiane restino terreno di rendite facili per pochi, a spese di tutti.

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Direttore Editoriale - Articoli pubblicati: 180

Libero Professionista, impegnato oltre che sul fronte dei servizi e prestazioni connesse al tema della prevenzione degli infortuni in ambienti di lavoro, ha maturato una notevole esperienza nell’ambito delle relazioni sindacali, ed oggi è tra i fondatori di diverse realtà sindacali di carattere Nazionale.

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