Chi ha detto che con la cultura non si mangia? A smentire questa affermazione bastano i dati contenuti nell’ultimo rapporto di Federculture. Il settore recupera ciò che aveva perduto a causa della pandemia, con un netto aumento di occupati tra le donne, laureati e ultracinquantenni. Anche la cultura, però, deve fare i conti con le difficoltà di inserimento dei giovani, con evidenti disparità tra le diverse aree del Paese e con percorsi formativi ormai obsoleti.
Tra 2019 e 2024 l’incremento degli occupati nel settore della cultura ha interessato soprattutto le donne: +6,2% rispetto al modesto +1,2% degli uomini. Il dato è in controtendenza rispetto all’occupazione complessiva che, nello stesso periodo di riferimento, è cresciuta di quattro punti per le donne e di circa tre per gli uomini. La riattivazione dei posti di lavoro nel settore della cultura, inoltre, risulta trainata dagli over 50 con un forte +21,1%. Non deve meravigliare, quindi, il fatto che l’Italia sia al vertice della classifica dei Paesi europei nei quali la quota di over 50 impiegati nella cultura è più consistente e sfiora il 39%. Di conseguenza, la quota di lavoratori under 30 è contenuta e non arriva al 13%, collocando l’Italia al penultimo posto nella classifica europea. Infine, nonostante più del 50% dei lavoratori abbia un titolo di studio universitario, l’incidenza dei laureati supera a stento il 15% e riflette un livello di istruzione più basso di quello che caratterizza il mercato del lavoro nazionale complessivamente considerato.
Ancora, in Italia cultura non fa rima con posto fisso. Circa il 46% degli addetti, infatti, lavora come indipendente, contro una media europea di poco inferiore al 32. Il divario nazionale rispetto al dato europeo si attesta a 6,6 punti percentuali per la quota di autonomi nell’occupazione totale, raggiungendo 14,6 punti nell’ambito culturale. Ma le disparità riguardano anche le diverse aree dell’Italia. La percentuale di occupati nel settore della cultura rispetto al totale raggiunge o supera il valore medio del 3,5% soltanto in sette regioni del Centro-Nord, mentre si attesta su un più modesto 2,5 in quattro regioni del Mezzogiorno tra le quali Calabria e Puglia.
Ma quali sono i ruoli più diffusi nel settore della cultura? Architetti, designer e arredatori di interni costituiscono circa il 27% dell’occupazione culturale complessiva, in aumento del 9,2% rispetto al 2019. Seguono, con poco più dell’11%, gli artigiani culturali tra cui liutai, gioiellieri, vasai, vetrai, pittori decorativi e lavoratori del legno, vimini, tessuti e pellami. Il 10% è formato da artisti, musicisti, attori e cantanti, in crescita di circa due punti rispetto al 2019. Più contenuta e in decremento rispetto al 2019 è la presenza di archivisti, bibliotecari e addetti a professioni tecnico-impiegatizie in biblioteche e musei: la loro quota non va oltre il 3,7%.
I dati contenuti nel rapporto di Federculture dimostrano quanto le norme italiane vigenti per i beni culturali, per lo spettacolo dal vivo e per il cinema siano obsolete. Mancano riferimenti a tutte le professioni legate alla gestione dei dati digitali, ambito dalle grandi potenzialità per lo sviluppo di nuove relazioni con chi finora è stato escluso dai consumi culturali. Un esempio concreto? Secondo quanto riferito a “Il Sole 24 Ore” da Antonio Lampis, in passato direttore generale dei musei nazionali, «si sostiene la produzione di cinema senza una visione completa del sistema di distribuzione». La soluzione è riscrivere i percorsi formativi a partire dai primi anni delle scuole superiori, dando spazio a materie come intelligenza artificiale, scienze cognitive riferite a diverse fasce di età e condizione sociale, statistiche sociali legate a cura e individuazione del pubblico della cultura.

