La cosiddetta “settimana corta” non è una novità assoluta nel panorama lavorativo. Il settore privato l’ha adottata con decenni di anticipo rispetto alla Pubblica Amministrazione, sull’onda lunga di un percorso iniziato già nel 1926, quando Henry Ford introdusse il modello dei cinque giorni lavorativi. Oggi la ripartizione dell’orario su cinque giornate è consolidata per tutti, pubblici e privati, con benefici evidenti in termini di equilibrio vita-lavoro e ottimizzazione dei costi gestionali per i datori di lavoro.
Da questa base si è sviluppata l’idea di una nuova sperimentazione: ridurre ulteriormente le giornate a quattro, mantenendo invariata la retribuzione. Un modello già testato con successo da importanti aziende italiane – da Luxottica a Lamborghini, da Intesa Sanpaolo a Lavazza – e rafforzato da esperienze internazionali come il progetto “4 Day Week Global”, che ha evidenziato minori livelli di stress e nessuna perdita di produttività.
Il nuovo contratto delle Funzioni locali: verso una PA più attrattiva
La firma definitiva del contratto del comparto Funzioni locali, arrivata il 3 novembre 2025, rappresenta una svolta per il lavoro pubblico. Non solo per gli aumenti retributivi – circa 136 euro mensili – ma soprattutto per gli strumenti di flessibilità introdotti.
Tra questi, la possibilità di scegliere volontariamente la settimana corta a parità di orario complessivo (36 ore), concentrato su quattro giorni. Un modello che rende più competitivo il lavoro pubblico e risponde alla necessità di trattenere professionalità giovani, sempre più attratte dal settore privato.
Sono previsti inoltre incentivi per i profili ad elevata qualificazione, con un aumento del tetto massimo salariale da 18 mila a 22 mila euro.
Per la prima volta, poi, la contrattazione introduce criteri di gestione del personale che tengono conto dell’età, valorizzando l’interscambio generazionale di competenze: un passo avanti per amministrazioni spesso ingessate.
Settimana corta nella PA: tra possibilità e limiti
Se la settimana lavorativa di quattro giorni può essere una leva di modernizzazione, non potrà tuttavia applicarsi indistintamente a tutte le categorie. Emblematico il caso della scuola: la presenza frontale degli insegnanti è legata al calendario delle lezioni e una compressione delle giornate inciderebbe sulla continuità didattica.
Diverso il discorso per il comparto difesa: lo Stato Maggiore dell’Esercito ha già autorizzato, tramite circolare, la possibilità di adottare la settimana corta per specifiche unità, previa decisione del Comandante. Una scelta che dimostra come anche settori tradizionalmente rigidi possano sperimentare modelli più flessibili senza pregiudicare l’operatività.
Smart working: più tutele e meno disparità
Accanto alla settimana corta, il nuovo contratto rafforza un altro strumento ormai strutturale: il lavoro agile. Dopo la fase emergenziale del 2020, lo smart working torna ora a essere regolato tramite contrattazione e PIAO, come modalità ordinaria integrata nell’organizzazione degli enti.
Tra le novità più rilevanti, il riconoscimento del buono pasto anche per chi lavora da remoto e l’eliminazione della regola che limitava le giornate agile rispetto a quelle in presenza. Una scelta che valorizza i risultati ottenuti negli anni: continuità dei servizi, riduzione dei tempi morti, minore impatto ambientale.
Una PA che cambia per trattenere competenze
La combinazione di settimana corta, flessibilità oraria e smart working rappresenta un’evoluzione culturale prima ancora che organizzativa.
La Pubblica Amministrazione, per competere nel mercato del lavoro, deve offrire qualità della vita e strumenti moderni. Il nuovo contratto sembra finalmente muoversi in questa direzione: una PA più flessibile, più attenta al benessere e più capace di attrarre e trattenere lavoratori qualificati.

