
Nemmeno il tempo di “aprire il cantiere” della prossima manovra di bilancio che sul tema delle pensioni si scatenano gli appetiti non solo della Lega, sempre in prima linea per lo smantellamento della legge Fornero, ma anche di Partito democratico, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento Cinque Stelle. Una coalizione trasversale, dunque, torna alla carica per far sì che il governo Meloni blocchi l’aumento dell’età pensionabile da 67 anni a 67 anni e tre mesi previsto a partire dal 2027. E non c’è da meravigliarsi: nel 2027 è in programma anche il rinnovo del Parlamento nazionale e molti partiti non vedono l’ora di ricavare ricchi dividendi, in termini di consenso, assecondando la “pancia” dell’elettorato.
Il punto di partenza è quella che Giuliano Cazzola ha definito la “salutare incoerenza” del governo Meloni. A dispetto della sostanziale rivisitazione della legge Fornero promessa in campagna elettorale, l’attuale esecutivo ha fatto scelte diverse. La premier e il ministro Giancarlo Giorgetti hanno ignorato le spinte tanto della Lega, che insisteva per misure come Quota 41, quanto di Forza Italia, che proponeva l’aumento dell’importo delle pensioni minime a mille euro mensili. Non solo: a partire dal primo gennaio scorso, il governo Meloni ha rimesso in moto il meccanismo dell’adeguamento automatico e biennale dei requisiti di pensionamento all’incremento dell’attesa di vita, senza il quale il rapporto tra debito e Pil aumenterebbe di 20 punti di qui al 2045 e di circa 60 entro il 2070. Insomma, la principale preoccupazione della premier è tenere in ordine i conti pubblici ed evitare di spaventare i mercati.
Sul punto, la prima a sollevare la questione è stata la Cgil che ha lanciato l’allarme su 44mila esodati, cioè su lavoratori che nel 2027 si troverebbero senza pensione e senza reddito durante i tre mesi aggiuntivi richiesti per andare in quiescenza. E anche le formazioni di sinistra si sono schierate contro l’innalzamento dell’età pensionabile previsto dalla legge Fornero. Ed è in questo fronte che si inserisce la Lega che, in prima battuta, sollecita il congelamento per un biennio dell’aumento dell’età pensionabile che scatterebbe a partire dal 2027; in alternativa, il Carroccio affida al sottosegretario Claudio Durigon la proposta di abbassare l’età pensionabile da 67 a 64 anni a patto che il lavoratore interessato paghi di tasca propria con il Tfr.
Ma quale sarebbe l’impatto dello stop sollecitato da questa insolita coalizione che riunisce i populisti di destra e di sinistra? Confermare il requisito dei 67 anni di età per andare in pensione graverebbe per due o addirittura tre miliardi di euro sul già precario bilancio dello Stato. Risorse ingenti, che il governo potrebbe destinare al taglio delle tasse sui redditi del ceto medio o all’incremento della spesa sanitaria. Il problema è dove trovare la copertura per una simile misura. La Sinistra, per esempio, ipotizza patrimoniale e aumento della progressività dell’Irpef. Ma per il centrodestra non se ne parla. E così il dibattito sulle pensioni si trasforma in un bazar in cui tutti urlano, nessuno ascolta e i miliardi vanno in fumo.
Al di là dei ragionamenti sui conti, però, il vero pericolo è un altro. E cioè che il confronto e le successive decisioni su un tema cruciale come quello pensionistico restino assoggettati a logiche elettorali di breve periodo. La sensazione, infatti, è che i partiti continuino a sfruttare gli aspetti poco graditi all’elettorato per ricavare qualche decimo in più di consenso. Nessuna formazione politica, intanto, stimola e alimenta un dibattito serio su problemi concreti quali invecchiamento della popolazione, denatalità e (ancora troppo basso) livello di occupazione e salari che, messi insieme, rendono il sistema pensionistico non sostenibile nel lungo periodo. Insomma, ancora una volta i leader dei partiti preferiscono la tattica alla strategia. Con buona pace del futuro di migliaia di pensionati e giovani lavoratori.