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Violazione del divieto di cumulo con redditi da lavoro subordinato, la pronuncia della Corte Costituzionale

La Consulta era stata attivata dai dubbi di legittimità costituzionale formulati dalla sezione Lavoro del Tribunale di Ravenna

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 depositata martedì 4 novembre 2025, ha dichiarato inammissibili i dubbi di legittimità costituzionale formulati dal Tribunale ordinario di Ravenna, sezione lavoro, nei confronti dell’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito nella legge n. 26 del 2019, nella parte in cui – secondo l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 30994 del 2024 – fa discendere dalla violazione del divieto di cumulo della pensione anticipata «quota 100» con redditi da lavoro subordinato la sospensione del trattamento previdenziale per un’intera annualità, anche quando l’attività lavorativa svolta sia limitata a periodi molto limitati (una o poche giornate) e con redditi esigui.

Il giudice rimettente – ha affermato la Corte – sebbene non abbia ravvisato alcun ostacolo testuale o di principio a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che peraltro non prevede espressamente alcuna conseguenza alla violazione del divieto di cumulo, non l’ha seguita, senza fornire argomenti convincenti a sostegno di tale scelta.

Il Tribunale ha, infatti, ritenuto ostativa all’interpretazione adeguatrice proprio la citata unica pronuncia della sezione lavoro della Corte di cassazione. Tale pronuncia tuttavia – ha rilevato la Corte – è rimasta finora unica nella giurisprudenza di legittimità, anche perché adottata assai di recente. Essa, peraltro, risulta non avere avuto un seguito generalizzato da parte dei giudici di merito, considerato che essa è
stata seguita da alcune pronunce, ma disattesa da altre, espressive di un diverso indirizzo.

Pertanto, la Corte ha dichiarato che non ricorrono, nella specie, quei requisiti di reiterazione e stabilità che ripetutamente sono stati ritenuti necessari ad assegnare all’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità un grado di consolidamento tale da rivelare il suo radicamento nell’ordinamento e da farlo assurgere realmente a “diritto vivente”, così da indurre il giudice che ne ravvisi il possibile contrasto con la Costituzione a investire questa Corte e da indurre questa Corte a pronunciarsi su di esso.

Il giudice rimettente quindi poteva – e doveva – procedere all’interpretazione della disposizione censurata confrontandosi con il citato precedente giurisprudenziale, che tuttavia non radica una situazione di «diritto vivente».

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Redazione del quotidiano di attualità economica "Il Mondo del Lavoro"

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