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Referendum: informazione assente, cittadini disorientati

I contenuti reali dei quesiti sono stati spesso taciuti o travisati

Mancano pochi giorni ai referendum dell’8 e 9 giugno, eppure il quadro informativo appare quanto mai inadeguato. La campagna referendaria si è trasformata in un palcoscenico di spot pubblicitari, più simili a strategie di marketing che a una vera occasione di confronto democratico.
La par condicio, nei fatti, è servita solo a garantire una parvenza di equilibrio formale, ma si è rivelata totalmente insufficiente a garantire informazione chiara, completa e fruibile. I tempi a disposizione per spiegare temi complessi sono ridicoli. I quesiti, tecnici e articolati, sono stati banalizzati. Il cittadino è stato trattato come un consumatore da convincere, non come un elettore da informare.
Parlo con cognizione di causa: ho partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche in rappresentanza del nostro comitato. In molti casi, il dibattito è stato palesemente sbilanciato, con dinamiche pilotate: prima parlava il promotore, poi io, poi di nuovo il promotore per “commentare” ciò che avevo detto. Il tutto senza diritto di replica. In altri casi, le nostre posizioni venivano ignorate, soprattutto quella sull’astensione consapevole, che riteniamo fondamentale per denunciare un uso distorto dello strumento referendario.
I contenuti reali dei quesiti sono stati spesso taciuti o travisati: si parla di tutele crescenti e reintegro come se valessero per tutti, mentre non è così. Si tagliano le mensilità risarcitorie da 36 a 24. Si reintroduce una causale che non riduce il precariato, ma rischia di aumentare il lavoro nero. Si scarica la responsabilità sugli imprenditori committenti, anche piccoli e impreparati, senza migliorare davvero la sicurezza sul lavoro.
C’è poi il rischio concreto che la rimozione del tetto agli indennizzi per le aziende sotto i 16 dipendenti generi contenziosi legali infiniti, alimentando la conciliazione sindacale e mettendo in crisi le microimprese. E nessuno lo dice chiaramente.
Anche il quesito sulla cittadinanza viene trattato con leggerezza. La gente non sa che i “5 anni” richiesti si trasformano, nei fatti, in 8 o 9 a causa delle pratiche. Né si dice che una volta ottenuta la cittadinanza si apre la possibilità di ricongiungimenti familiari molto ampi. Basterebbe migliorare le tempistiche burocratiche, senza stravolgere la legge attuale.
Tutto questo avviene mentre il costo totale stimato per l’organizzazione dei cinque referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno si aggira intorno ai 300 milioni di euro. Una cifra che comprende le spese per l’allestimento dei seggi, la stampa delle schede, la logistica, il personale impiegato (scrutatori, presidenti di seggio, forze dell’ordine) e altri costi operativi.
E non è tutto. In caso di raggiungimento del quorum, ai comitati promotori spetta un rimborso pubblico fino a 2,5 milioni di euro, calcolato in base al numero di firme raccolte per ciascun quesito, con un massimo di 500.000 euro per quesito, come previsto dalla legge 157/1999. Queste cifre hanno già sollevato ampie discussioni sull’opportunità di sostenere simili costi, soprattutto in rapporto all’affluenza prevista e alla qualità – o meglio, scarsità – dell’informazione fornita ai cittadini.
Nel frattempo, i messaggi autogestiti – formalmente a disposizione di tutti – servono più a finanziare le emittenti che a informare i cittadini. I comitati come il nostro devono autofinanziarsi, senza alcun accesso a risorse pubbliche, mentre dall’altra parte si raccolgono firme e si incassano fondi.
Il cittadino è stato lasciato all’oscuro, spinto a votare o meno senza conoscere le reali implicazioni dei quesiti. Le parole d’ordine sono slogan, non contenuti. Il voto rischia di diventare un atto fideistico, non consapevole. E così, la responsabilità di una scelta tecnica e complessa viene scaricata su chi non ha gli strumenti per comprenderla appieno, non per colpa sua, ma per colpa di chi ha voluto un referendum così.
La verità è che non ci è stato permesso di spiegare. L’ignoranza ha vinto, e il cittadino è stato usato, non ascoltato.
Meno si sa, meglio è.
Sembra essere questo il principio che ha guidato questa campagna.

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Autore - Articoli pubblicati: 201

Segretario Generale Confederazione SELP

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