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Salari più bassi per i lavoratori, meno gettito fiscale per lo Stato: così i contratti pirata rischiano di uccidere l’economia italiana

Confcommercio lancia l'allarme: in pericolo diritti e garanzie, indispensabile rafforzare ispezioni e monitoraggio

Per i lavoratori garanzie e salari ridotti, per lo Stato un gettito fiscale sensibilmente più basso: i danni prodotti dai contratti pirata si manifestano su un duplice fronte e alimentano gli squilibri tra le diverse aree del Paese. A fotografare la situazione è un dossier di Confcommercio che evidenzia la necessità di potenziare l’attività di ispezione e monitoraggio con l’obiettivo di frenare la diffusione di quegli accordi. Obiettivo: tutelare il lavoro e la competitività del sistema.
Secondo Confcommercio i contratti pirata, cioè gli accordi firmati da sindacati e associazioni datoriali privi di rappresentatività, sono più di 200, riguardano oltre 160mila dipendenti e 21mila aziende attive soprattutto nel terziario e nel turismo. Per i lavoratori significa percepire salari più bassi di circa 8mila euro lordi l’anno rispetto a chi è invece coperto dal contratto collettivo siglato da Confcommercio. Alla retribuzione più bassa si aggiungono integrazioni per malattia o infortunio ridotte al 20% a fronte del 100 garantito dal contratto firmato da Confcommercio; meno ferie, permessi e scatti di anzianità; indennità ridotte o assenti; orari lunghi senza compensazioni; flessibilità accentuata senza garanzie; carenza o totale assenza di molte forme e strumenti di welfare come sanità integrativa e previdenza complementare.
I contratti pirata, però, non danneggiano soltanto i lavoratori. Tutto il Paese ne subisce gli effetti negativi soprattutto in termini di minor gettito fiscale e di maggiori disuguaglianze tra Nord e Sud. Per quanto riguarda il primo aspetto, Confcommercio calcola una perdita di ben 553 milioni di euro. Sotto il secondo profilo, invece, i contratti pirata sono più diffusi in due settori strategici per economia e occupazione, cioè terziario e turismo. Ciò causa squilibri territoriali a danno delle aree più fragili del Paese. Non a caso gli accordi pirata si concentrano soprattutto al Sud, in particolare nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Palermo, Lecce e Trapani.
In altre parole, i contratti pirata riducono diritti e tutele dei lavoratori, creano dumping salariale e normativo e incentivano la concorrenza sleale perché le imprese corrette sono penalizzate in quanto costrette a competere con chi risparmia sul costo del lavoro. Così i contratti pirata riducono la qualità dell’occupazione basandola, sostanzialmente, sul sacrificio delle condizioni di lavoro. Di qui la conclusione di Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, secondo il quale la diffusione dei contratti pirata «mina le regole della concorrenza, svaluta il lavoro e crea disparità tra imprese e tra occupati».
Come si inverte questa tendenza? Rafforzando la collaborazione tra associazioni datoriali e sindacati, certo, ma anche sollecitando una maggiore attenzione da parte del governo che deve impegnarsi concretamente per impedire l’applicazione di intese “sottocosto”. Ciò vuol dire potenziare l’attività ispettiva e gli strumenti di monitoraggio, definendo una scheda di lettura comparativa degli accordi per «valutare verticalmente le discipline a contenuto protettivo del lavoratore, inclusi regimi di orario, periodi di riposo, straordinari e scatti di anzianità». È la strada obbligata per assicurare l’effettivo impiego di contratti collettivi “di qualità”, salvaguardando il valore del lavoro e la concorrenza leale.

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Giornalista con oltre quindici anni di esperienza, specializzato in lavoro, economia e società. Noto per le sue analisi approfondite e lo stile equilibrato, si concentra sull'impatto delle politiche e dei trend sul tessuto sociale ed economico italiano. Ha iniziato la sua carriera in testate locali, sviluppando una profonda comprensione delle dinamiche del mercato del lavoro e delle sfide sociali a livello regionale.

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