
La recente proposta del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon – che prevede l’uso del Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) come integrazione per anticipare l’uscita a 64 anni con soli 25 anni di contributi – solleva più dubbi che soluzioni.
Una promessa che penalizza chi ha lavorato una vita
Presentata come un’opportunità di flessibilità, in realtà la misura rischia di trasformarsi in un boomerang sociale ed economico. Chi ha versato contributi per decenni e ha costruito il proprio futuro sulla certezza di una liquidazione, si troverebbe di fronte a un ricatto implicito: o rinunciare al Tfr – frutto di anni di lavoro e sacrifici – per avere un assegno dignitoso, oppure rassegnarsi a una pensione ridotta e inadeguata.
Così si crea una disparità tra chi ha accumulato carriere lunghe e continue e chi invece si trova con contributi discontinui: i primi finiscono col vedere svalutato il loro impegno, i secondi rischiano di consumare in pochi anni ciò che dovrebbe rappresentare un salvadanaio per la vecchiaia.
Il Tfr non è un bancomat previdenziale
Il Tfr ha una funzione precisa e diversa dalla pensione: rappresenta una liquidazione da utilizzare per bisogni straordinari, come l’acquisto della casa, la formazione dei figli, oppure per sostenere spese impreviste in età avanzata. Trasformarlo in una rendita pensionistica obbliga i lavoratori a “mangiare” il proprio futuro per coprire buchi che dovrebbero essere colmati da un sistema previdenziale solido e stabile.
È come chiedere a un risparmiatore di bruciare i propri risparmi per pagare le bollette di un sistema inefficiente.
Una misura che scarica i costi sui cittadini
Lo Stato, anziché rafforzare le pensioni con risorse proprie, sposta l’onere interamente sui lavoratori. Non è una vera riforma, ma un trucco contabile per contenere la spesa pubblica. Si dice che così non si erogano “pensioni povere”, ma la realtà è che si obbliga chi ha già poco ad attingere a ciò che dovrebbe restargli intatto come paracadute personale.
Conclusione: una falsa flessibilità
La proposta appare dunque impraticabile e pericolosa: svantaggia chi ha lavorato per decenni, tradisce le aspettative sul Tfr e riduce il concetto stesso di previdenza a un artificio. La flessibilità in uscita non può trasformarsi in un baratto forzato tra pensione e liquidazione.
I lavoratori meritano un sistema equo, sostenibile e rispettoso dei sacrifici compiuti. Usare il Tfr come toppa per le pensioni significa invece perpetuare un modello che premia la gestione di breve periodo e scarica i problemi strutturali sulle spalle di chi ha già dato tanto.