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De Laurentiis a Processo: l’analisi delle posizioni di accusa e difesa.

Il 20 novembre 2025 il gup del Tribunale di Roma, ha firmato il decreto di rinvio a giudizio, con l’accusa di falso in bilancio, per Aurelio De Laurentiis, il Napoli e l’amministratore delegato Andrea Chiavelli. Sul fronte sportivo, la partita è già finita da tempo. La Procura Federale, dopo aver ricevuto gli atti da Roma, ha scelto la strada dell’archiviazione, senza chiedere la revocazione della precedente assoluzione in sede sportiva.

 

Un rinvio a giudizio che pesa più del suo esito

Il decreto con cui il gup di Roma ha rinviato a giudizio Aurelio De Laurentiis, il Napoli e l’ad Andrea Chiavelli segna una tappa giuridica rilevante, ma soprattutto rilancia una questione che attraversa l’intero sistema calcio: fino a che punto la valutazione di un calciatore è un dato economico e dove diventa invece un artificio suscettibile di rilievo penale?

Il processo, fissato per dicembre 2026, cercherà una risposta a questa domanda in un terreno che unisce contabilità, mercato sportivo e interpretazione della norma.

Le operazioni contestate e il nodo delle plusvalenze “creative”

Al centro dell’accusa ci sono due dossier ben noti: l’acquisto di Kostas Manolas nel 2019 e soprattutto quello di Victor Osimhen nel 2020.

Il primo, ritenuto dalla Procura una valutazione fuori scala con effetti benefici sul bilancio della Roma; il secondo, molto più complesso, rappresenta il cuore dell’inchiesta. L’operazione Osimhen – 70/80 milioni complessivi secondo le ricostruzioni, fra parte cash e quattro contropartite tecniche – è oggi il laboratorio perfetto per analizzare come le plusvalenze possano diventare terreno di ambiguità.

I quattro giocatori spediti “sulla carta” al Lille – Karnezis, Palmieri, Liguori, Manzi – non arrivarono mai realmente in Francia. È la circostanza più evocata dall’accusa per sostenere che quei valori, più che valutazioni, fossero strumenti.

Il reato contestato e un dibattito che va oltre il calcio

La Procura fa riferimento all’articolo 2621 del Codice Civile: falso in bilancio.

Non basta un valore gonfiato, serve che quel valore abbia prodotto un ingiusto profitto e che la rappresentazione non veritiera abbia distorto la situazione societaria inducendo altri in errore. È una norma che il calcio sfiora spesso senza toccare, perché il mercato dei calciatori ha caratteristiche uniche: nessun algoritmo, nessun parametro definitivo, un valore che oscilla fra percezione, prospettiva e necessità di bilancio.

Ed è proprio qui che si inserisce la posizione della difesa: nessun vantaggio concreto per il Napoli, e per definizione nessun falso rilevante penalmente. Una tesi che richiama la giurisprudenza della Cassazione: senza un profitto effettivo, il reato rischia di non configurarsi.

Intercettazioni, interpretazioni e il ruolo dell’intenzione

La Procura porta a sostegno anche e-mail e conversazioni fra dirigenti del Napoli e del Lille.

La frase sul “valore nominale necessario per chiudere” l’operazione è stata individuata come indicativa, se non decisiva. La difesa ribatte: citazione decontestualizzata, parte di una dialettica commerciale comune, e comunque già spiegata agli inquirenti dai diretti protagonisti.

Il dibattito ruota attorno alla stessa domanda: quelle parole sono prova di artificio o semplicemente linguaggio negoziale di un mercato che vive di numeri non standardizzati?

La linea di difesa: niente vantaggio, principi contabili rispettati

Gli avvocati di De Laurentiis, Gaetano Scalise, Fabio Fulgeri e Lorenzo Contrada, impostano una strategia precisa. Il primo pilastro è l’assenza di vantaggio economico per il Napoli: se la stessa Procura riconosce che il club non si è arricchito in modo illecito, allora verrebbe meno l’elemento del profitto ingiusto richiesto dall’articolo 2621.

Il secondo pilastro è tecnico-contabile. Nel calcio italiano, i diritti pluriennali dei calciatori sono iscritti in bilancio seguendo i principi dell’OIC 24, che si fondano sul costo storico e ammettono una certa componente di discrezionalità. I principi internazionali IFRS/IAS, più orientati al fair value, non sono mai stati pensati per essere applicati in modo rigido a un mercato che vive di aspettative, scommesse, proiezioni.

La difesa sostiene che la Guardia di Finanza abbia applicato una lettura eccessivamente rigida di questi principi, riducendo a “sospetto” quella che in realtà sarebbe fisiologia del settore: valutazioni aggressive, sì, ma in una forchetta di plausibilità e all’interno delle regole contabili vigenti.

Il ruolo dei principi contabili: tecnica o discrezionalità?

Gli OIC e gli IAS/IFRS raccontano una realtà semplice: i cartellini dei calciatori sono immobilizzazioni immateriali e la loro valutazione ha una componente inevitabilmente soggettiva.

A maggior ragione in un settore dove il “valore” oscilla non solo in base al rendimento, ma al contesto, alla strategia del club, all’urgenza di comprare o vendere.

È un ambito dove la contabilità incontra l’interpretazione, e la discrezionalità può diventare un’arma a doppio taglio: fisiologica per chi opera, sospetta per chi indaga.

Il rinvio a giudizio non è una condanna. Ma è un segnale.

La scelta del gup non contiene né deve contenere una motivazione estesa.

L’udienza preliminare serve a verificare se esistano elementi sufficienti per portare la questione in aula, non a stabilire colpe o innocenze.

La difesa parla di “stupore”, denuncia un’udienza preliminare svuotata di senso e invoca un ritorno della motivazione obbligatoria. È una posizione che intercetta un tema più grande: il filtro dell’udienza preliminare spesso non filtra, e la valutazione effettiva arriva solo nel dibattimento.

Il fronte sportivo: la FIGC resta fuori

Sul versante federale, la storia è già chiusa: archiviazione.

La Procura Federale non ha ritenuto sufficienti le evidenze per riaprire il procedimento sportivo, e i termini per farlo sono decorsi.

Significa che, qualunque sia l’esito del processo penale, non sono previste ricadute sportive per il Napoli.

Un dettaglio non irrilevante, soprattutto in un’epoca in cui la linea di confine fra giustizia sportiva e penale è diventata più sottile e più discussa.

Una vicenda che riguarda il Napoli, ma parla a tutto il sistema

Il processo non dirà soltanto se le valutazioni di Manolas e Osimhen fossero artificiosamente gonfiate. Dirà anche – forse soprattutto – se il calcio italiano è in grado di distinguere fra una valutazione discutibile e una manipolazione consapevole.

E quanta libertà un club può esercitare nel definire il valore di un giocatore senza rischiare di trasformare un’operazione di mercato in un potenziale reato.

Oltre l’aula, verso un tema che il calcio non può più rimandare

Il caso De Laurentiis non è soltanto un processo: è un banco di prova per un settore che flirta da anni con le plusvalenze e che ora si trova davanti al limite estremo della propria elasticità contabile.

Il verdetto del tribunale arriverà nel 2026. Ma la domanda che oggi conta di più è un’altra: il calcio italiano saprà darsi regole più chiare per evitare che la discrezionalità diventi un rischio strutturale?

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Autore - Articoli pubblicati: 27

Studente di Giurisprudenza, con esperienza amministrativa e interesse per ambito legale, aziendale e risorse umane.

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