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3 gol che rimettono in piedi il Napoli, 3 parate che sorreggono la Roma, 10 secondi che inchiodano l’Inter

Conte ricostruisce tutto con il 3-4-2-1, Svilar tiene la Roma capolista, il Milan prende il derby nell’unico frammento che l’Inter non ha saputo proteggere. La Juventus continua a muoversi in orizzontale, il Bologna trasforma il blackout friulano in un 3-0 da squadra vera.

 

NAPOLI-ATALANTA:3-1. Tre gol che non pesano, significano

Il Napoli di Conte non cambia modulo: cambia direzione.

Il 3-4-2-1 non è la risposta a una crisi; è l’annuncio che la crisi è stata studiata a fondo, smontata, ricomposta in un sistema coerente.

La squadra rinuncia al rassicurante tocco orizzontale per abbracciare una verticalità feroce.

Neres e Lang occupano metà spazi come se fossero zone promesse; Hojlund è meno finalizzatore e più regista fisico; McTominay è la geometria senza compasso; Di Lorenzo la spina dorsale tattica.

I tre gol in mezz’ora non sono un lampo: sono la certificazione di un’identità che Conte voleva vedere, e che ora esiste.

È un Napoli che accetta la perdita del possesso come parte del piano, che non teme di difendere in avanti, che trova in Neres la scintilla che mancava da mesi.

L’Atalanta, al debutto di Palladino, si accorge presto che il Napoli non vuole governi lunghi: vuole governi rapidi. Transizioni verticali, recuperi immediati, pressione come linguaggio.

Il gol di Scamacca dà dignità al risultato, non equilibrio alla partita.

 

CREMONESE-ROMA :1-3. Tre parate che tengono in piedi la capolista

A Cremona non vince la Roma brillante, ma la Roma consapevole.

Quella che legge il proprio limite e non lo nasconde, ma lo gestisce.

Il primo tempo è una corsa a ostacoli in cui Svilar è l’unico appoggio solido.

Bonazzoli, Vardy, Vandeputte: la Cremonese trova spazi che la Roma non può concedere.

Eppure ogni volta che il rischio si avvicina alla soglia della tragedia, Svilar porta la linea un passo più indietro.

Poi Soulé segna il tipo di gol che cambiano la temperatura di una squadra: non un colpo isolato, ma la prova che si può respirare.

La ripresa è una seminario di Gasperini: correzioni tecniche minime, trasformazioni emotive massime.

El Aynaoui porta corsa, Ferguson porta sostanza, Wesley porta la firma.

Il 3-1 finale non racconta la sofferenza, ma la supera.

E questo è un tratto da capolista vero: la Roma non soffre per caso, soffre per scelta, finché non può smettere.

 

INTER–MILAN: 0-1. Dieci secondi che pesano più di settanta minuti

Il derby è una partita che l’Inter gioca, e che il Milan vince.

Suona semplice, ma non lo è.

Chivu prepara un meccanismo fluido, pulito, dominante: possesso alto, spazi trovati con precisione, pressioni coordinate.

L’Inter fa quella che, nel calcio moderno, viene chiamata una partita “corretta”: trova le zone, trova le situazioni, trova perfino le occasioni.

Ma trova anche Maignan, nella versione più alta della sua carriera rossonera.

Tre parate da museo, un rigore neutralizzato e una freddezza che anestetizza qualunque slancio nerazzurro.

Poi arrivano quei dieci secondi: la palla persa di Calhanoglu, il recupero feroce di Fofana, la verticalità immediata, l’errore di Sommer, l’arrivo chirurgico di Pulisic.

Un pugno breve, preciso, non replicabile.

Il Milan non ha un piano più ricco; ha un piano più affilato.

E il derby, alla fine, sceglie la lama, non il telaio.

 

FIORENTINA–JUVENTUS:1-1. La partita che spiega tutto della Juve

La Juventus a Firenze sembra una squadra che ha studiato, ma non ha ancora capito.

Possesso, ordine, fraseggi: la continuità c’è.

La verticalità no.

Il gol di Kostic è un lampo fuori schema, quello di Mandragora un lampo dentro la logica.

La Juventus ricomincia a palleggiare, ma senza cambiare marcia: ripete, non evolve.

La Fiorentina cresce con il coraggio che spesso le è mancato; la Juve resta orizzontale: non sbaglia, non punge.

 

UDINESE-BOLOGNA:0-3. Una ripresa da squadra che sa riconoscere la debolezza altrui

La partita dell’Udinese dura quarantacinque minuti.

La partita del Bologna dura novanta.

La differenza è già tutta qui, e Italiano la legge meglio di tutti: il ritmo friulano è apparente, non sostenibile.

Il Bologna entra nella ripresa con una lucidità quasi crudele: conquista spazio, recupera alto, approfitta di ogni crepa.

Pobega firma un doppio colpo da mezzala moderna, Bernardeschi chiude un 3-0 che non nasce da superiorità tecnica, ma da superiorità mentale.

Il Bologna non ha bisogno di inventare calcio diverso: gli basta riconoscere dove l’altro sta cedendo.

 

Chi comanda lo fa nei dettagli, non nei volumi

Tre gol, tre parate, dieci secondi: sono i simboli di un campionato che non si lascia incantare dalla circolazione del pallone.

 

Il Napoli ritrova un sistema.

La Roma trova stabilità nel caos.

Il Milan trova il momento.

L’Inter lo perde.

La Juventus non trova la porta.

Il Bologna trova un’identità.

 

La Serie A sta iniziando a premiare solo chi sceglie come vincere, non chi occupa meglio la scena.

E la vetta, oggi, sembra capire questo linguaggio più di chi la insegue.

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Autore - Articoli pubblicati: 28

Studente di Giurisprudenza, con esperienza amministrativa e interesse per ambito legale, aziendale e risorse umane.

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