Tre partite, tre storie diverse, un filo comune, spesso ribadito negli ultimi anni: l’Italia calcistica in Europa non si deve misura più solo dai risultati, ma dalla capacità di riconoscersi in un’idea.
Il 23 ottobre 2025 ha offerto un piccolo spaccato della geografia tecnica del nostro calcio: Bologna, Roma e Fiorentina hanno affrontato la stessa notte europea da prospettive opposte — chi per crescere, chi per confermarsi, chi per ritrovarsi.
Tre cartoline, tre modi di essere “italiane” in un continente che corre.
FCSB-Bologna:1-2, l’identità che prende forma
A Bucarest, il Bologna ha fatto un passo avanti che vale più dei tre punti.
Il 2-1 sul FCSB è stato il risultato di una coerenza tattica crescente, non di un episodio.
Vincenzo Italiano ha disegnato un 4-2-3-1 funzionale e misurato: Orsolini e Rowe larghi, Odgaard e Dallinga a scambiarsi ruoli e riferimenti, Freuler e Moro a dare struttura al pressing e alla costruzione.
Due gol nei primi dodici minuti, poi la gestione.
Non più un Bologna che corre sempre, ma che sceglie quando farlo.
Le cifre (21 tiri, 2,15 xG, 54 % di possesso) raccontano una squadra finalmente capace di unire estetica e concretezza.
È la traduzione più chiara del percorso di Italiano: dal gioco come principio al gioco come strumento.
Roma-Plzen:1-2, il dominio che non fa male
All’Olimpico la Roma ha mostrato l’altro lato della medaglia.
Contro il Viktoria Plzeň, la squadra di Gasperini ha perso 1-2 dominando per possesso e occasioni.
Eppure, non ha mai dato la sensazione di controllare la partita.
Il 68 % di possesso, 20 tiri e 2,36 di xG raccontano un assedio sterile, costruito più sul volume che sull’efficacia.
Il 3-4-2-1, con Dybala e Soulé alle spalle di Dovbyk, ha faticato a generare verticalità.
Quando il Plzeň ha colpito due volte nei primi venti minuti, la Roma è entrata in un circolo vizioso: molta iniziativa, poca incisione.
Il rigore di Dybala ha riaperto la partita, ma non la prospettiva.
Questa Roma produce tanto e concretizza poco.
In Europa, dove le partite si decidono sull’efficienza più che sulla qualità, la differenza tra un’idea e la sua applicazione è tutto.
SK Rapid-Fiorentina:0-3, il ritorno alla semplicità
A Vienna la Fiorentina ha scelto la via più lineare — e ha avuto ragione.
Lo 0-3 sul Rapid è un successo che nasce da chiarezza e leggerezza, due concetti che Pioli stava cercando da settimane.
Il 4-2-3-1 viola ha funzionato per equilibrio: Ndour e Fortini dinamici, Džeko come riferimento pulito, Kouadio e Guðmundsson pronti a incidere.
I numeri (58 % di possesso, 17 tiri, sette occasioni nitide) certificano una superiorità costruita senza forzature.
La Fiorentina ha smesso di voler “spiegare” il proprio gioco e ha cominciato semplicemente a giocarlo.
È un segnale di maturità, non di rassegnazione.
Un unico filo rosso
Tre partite, tre risultati, un’unica domanda: quanto è pronto oggi il calcio italiano a leggere l’Europa senza rincorrerla?
Il Bologna mostra che la strada è quella del metodo.
La Roma ricorda che la forma non basta senza sostanza.
La Fiorentina dimostra che l’equilibrio può essere la chiave della rinascita.
Nessuna delle tre ha vinto o perso per caso.
Hanno solo restituito, ognuna a modo suo, il riflesso di un sistema in transizione: meno emotivo, più pensante, ancora alla ricerca della propria misura.
Perché l’Europa, più che un traguardo, resta lo specchio più sincero del nostro calcio.

